Cavaso Classica conclude la prima parte dei Concerti VII edizione con un variegato programma proposto dall’Akedon Quintet formato da Valter Favero al pianoforte, Enzo Ligresti al violino, Carlo Lazari alla viola, Gianantonio Viero al violoncello e Patrizia Pedron al contrabbasso. La serata piovosa del 10 febbraio non ha spaventato il pubblico di Cavaso Classica, la Sala Consiliare è gremita, particolare il repertorio proposto. L’apertura del concerto è affidata ad un Mozart di raro ascolto con il Trio formato da Enzo Ligresti, Carlo Lazari e Gianantonio Viero a cimentarsi nei Due Preludi e Fughe a tre voci per trii d’archi K 404 a, n 1 e 4, nella trascrizione da Johan Sebastian Bach. Un Mozart che ripercorre con audacia, nella chiarezza espositiva degli interpreti, la strada tracciata da Bach con delicatezza partecipata,  è questa la via che dimostra il Trio nel sottolineare gli aspetti di scrittura. In alcuni momenti a predominare è una coralità sentita, quasi l’intento di preghiera risulti più accorato nell’unione di più voci, per poi stemperarsi nella vocalità più intensa di ciascuno strumento. Nelle Fughe la chiarezza di tessitura, pur palesandosi come invito alla riflessione su alte tematiche, pare voler ricomporre quei pezzetti d’infinito che si nascondono tra le pagine di Bach. E’ l’inclinazione più meditativa a fare da collante con l’aria di mistero che rende così singolare la musica di Bach, lasciando al perfetto incastro tra le voci del Trio la manifestazione più ardua nel far diventare il cromatismo aspetto bivalente: ora poetico ed ora perso in bilico tra colori tonali pronti a modellarsi rapidamente. L’aspetto timbrico dato dal colore fa diventare questa interpretazione emotivamente coinvolgente, mentre l’aspetto più puramente narrativo resta sempre immerso tra gli abissi più profondi che descrivono il mistero nell’opera di Bach. La purezza del suono riscatta ogni linea melodica rafforzando gli aspetti che potrebbero considerarsi statici ed ecco che la severità di scrittura a tre voci si trasforma in un vero e proprio inno al fraseggio più sofisticato. Soggetto e controsoggetto diventano elementi preziosi, eloquenti nell’architettura generale e sottolineano la creatività con cui gli interpreti dosano con elasticità e prontezza le varie dimensioni timbriche. La maestosità della struttura potrebbe far apparire rischioso osare negli aspetti interpretativi più audaci eppure il controllo tecnico permette agli interpreti di evidenziare la purezza delle linee. Il Trio per archi n 1 in si bemolle maggiore D 471 è proposto con un’interpretazione che valorizza brillantezza e serenità del “pianeta Schubert”, dimenticando per un attimo l’inquietudine del viandante che è leitmotiv per il compositore. La descrizione bucolica in cui gli interpreti sintetizzano il “bel suono” al carattere puramente narrativo fa sì che in alcuni momenti sembra voglia evocare l’Opera per la varietà di scene proposte. I momenti più intimistici non scalfiscono il clima sereno che emerge dal raffinato alternarsi di maggiore e minore, caratteristica di Schubert di cui gli interpreti suggeriscono l’essenza segreta. Il Quintetto di Hummel in mi bemolle minore Op 87 con l’Akedon Quintet al completo ( Valter Favero al pianoforte, Enzo Ligresti al violino, Carlo Lazari alla viola, Gianantonio Viero al violoncello e Patrizia Pedron al contrabbasso) è un gioiello di scrittura di cui gli interpreti riescono a valorizzare musicalità poderosa e dai tratti impetuosi e travolgenti, quasi fosse una ricerca nel fitto mistero della composizione, suddivisa in tre tempi ben consequenziali rispetto al pathos sempre crescente. Gli archi creano il clima sospeso, a tratti evanescente, mentre la parte pianistica è ancorata alla concretezza di una narrazione agile e pronta a prospettare rapidi cambi di scena sfruttando un virtuosismo presente ma mai ostentato. Freschezza interpretativa e capacità di coinvolgere sono alla base della ricerca musicale dell’Akedon Quintet, ogni contrasto è reso con eleganza ed i temi sembrano già scorgere in lontananza la scrittura brahmsiana per intensità e plasticità. L’Akedon Quintet sottolinea lo slancio e la compattezza nello sviluppo di ciascuna sezione specialmente nella ripetizione di alcuni temi, avvalendosi di un impeto senza cedimenti fino all’Allegro agitato conclusivo. Bis altrettanto fantasioso con “Hevenu schalom alechem” dal frizzante piglio folcloristico con coinvolgimento pieno del pubblico in sala a scandirne la ritmica.

 

Vincenza Caserta