In un mite inverno catanese l’Etna sovrasta maestosa la città dell’elefante ed il contrasto luminoso e candido della neve con i caldi colori del sud prepara un’atmosfera di festa. Il Teatro Massimo Bellini appare come un gigante sull’ampia piazza gremita e le statue che lo sovrastano, così ricche di allegorie, creano suggestione nello sguardo dei passanti. La sala è uno scrigno prezioso in cui spiccano gli affreschi di Ernesto Bellandi dedicati ad immagini tratte dalle Opere di Vincenzo Bellini, ogni elemento riesce ad essere un invito ad immergersi nell’arte ed attendere con impaziente curiosità la densa serata musicale presentata dai Solisti Veneti diretti dal Maestro Giuliano Carella. Un programma intenso quanto impegnativo quello scelto per la tournée siciliana che ha messo alla prova l’orchestra veneta in due tappe al Teatro Massimo Bellini di Catania il 3 e 4 gennaio ed il 5 presso il Teatro Garibaldi di Modica. La scelta dei programmi omaggia nella parte iniziale la tradizione barocca che ha reso celebre nel mondo l’orchestra dei Solisti Veneti : il Concerto di Albinoni in fa maggiore per archi e basso continuo Op 5 n 2 inaugura la serata. Un’immediata immersione nella festosità barocca, capace di lasciare spazio alla coralità di un’orchestra dalle timbriche brillanti,  rende subito accattivante il piglio rispetto alla ormai assodata tradizione interpretativa. Il Maestro Carella sottolinea l’identità di suono che rende riconoscibile l’orchestra dei Solisti Veneti, caratterizzata dalla duttilità con cui ciascuno dei suoi elementi riesce a passare dal ruolo solistico a quello collettivo offrendo interessanti spunti interpretativi. Il Largo dal carattere nostalgico mette in rilievo la cantabilità densa e commovente con cui il dialogo tra il violoncello di Giuseppe Barutti ed il violino di Lucio Degani , sostenuti dal basso continuo di Rosaria Politi al clavicembalo, riescono ad intessere un fitto dialogo con l’orchestra. Frizzante l’Allegro assai in cui la forma fugata diventa quasi pretesto per articolare una cantabilità sempre rinnovata e vivace. Il Concerto di Vivaldi “Il Favorito” op.11 n.2, con solista Enzo Ligresti, violinista di origine siciliana, fa parte del bagaglio musicale che lega tradizionalmente i Solisti Veneti al compositore veneziano. Delicatezza e virtuosismo si uniscono nella convincente interpretazione di Ligresti che riesce a sottolineare con naturalezza ed equilibrio i diversi aspetti della partitura. Si riesce a percepire una ricerca musicale che utilizza i passaggi più impegnativi dal punto di vista della tecnica strumentale come una fitta rete di arabeschi in preparazione di un ispirato lirismo. L’alternanza dei momenti di abbandono, in perfetta sintonia con il violoncello di Barutti, diventano il fulcro narrativo che anticipa l’umanità più struggente dell’Andante, anche attraverso un Vivaldi più che mai visionario. Malinconico ed evocativo, il tempo centrale del concerto, è quello in cui Ligresti crea poesia attraverso una cantabilità sussurrata e varia, capace di danzare sul delicato procedere dell’orchestra in un convincente amalgamarsi. Se il nucleo centrale del Concerto segna l’Andante come vertice poetico, il conclusivo Allegro non manca di sorprese sia dal punto di vista delle timbriche chiare e pungenti sia nell’intensità a tratti quasi drammatica stemperata da un’abile ricerca armonico - timbrica. Il virtuosismo brillante  del solista si alterna nuovamente ad un ondeggiare nelle reminiscenze di un lirismo appena accennato in cui Ligresti e l’ orchestra giocano su terrazze di colore nelle progressioni regalando a Vivaldi rinnovata modernità. L’omaggio a Bellini nella sua Catania non manca da parte dei Solisti Veneti e la Fantasia su “La sonnambula” di Giovanni Bottesini per contrabbasso ed archi diventa un momento particolare del concerto in cui la musica strumentale abbraccia l’Opera. Gabriele Ragghianti, con disinvolto virtuosismo, riesce a creare un’intera orchestra al contrabbasso sorprendendo con le timbriche che richiamano strumenti a fiato e conferendo maestosa imponenza ai temi belliniani. Dopo un incipit che invita alla danza, la cadenza al contrabbasso è un accorato canto del tema. Fiero e spiegato, il cantabile di Ragghianti si adagia su un’orchestra estremamente descrittiva nel presentare gli elementi più delicati. Il rapido mutare degli scenari, grazie ad una presenza viva ed attenta dell’ensemble, trasporta verso un trionfale sviluppo in cui la duttilità del contrabbasso domina un virtuosismo ben calibrato ed in equilibrio con il procedere sicuro dell’orchestra. Il Concerto per archi di Nino Rota è una bella sorpresa, nel Preludio l’ammaliante incipit, con la nostalgia cantata a piena voce dalla viola di Falasca, riesce a dare l’impressione del viandante immerso in un mare di nebbia mentre l’infittirsi del mistero diventa sempre più intenso. Carella pone in rilievo con attenzione i suoni gravi dei Solisti Veneti ed è nel rintocco pungente di alcune rapide dissonanze che si anima la poetica del sublime. Il clima di cupo presagio che il violino di Degani preannuncia con piena espressività trova appoggio nelle risposte decise della viola. Il filo conduttore su cui si adagia Rota sembra implacabilmente legato all’idea di movimento, di uno scorrere fluido ed inesorabile che plasma ogni cosa. L’accenno di un movimento quasi di valzer racchiude i germogli di un pensiero con cui in modo originale i Solisti Veneti propongono reminiscenze di temi intravisti e nascosti, sottolineati nei vivaci ed impetuosi pizzicati che fanno capolino. L’Aria sembrerebbe ricamare un nuovo senso del tempo in un accenno che desta alla memoria la celebre “Aria sulla quarta corda” di Bach procedendo poi con un incantevole amalgamarsi di idee. Interpretazione che piace e convince non solo per la cura timbrica equilibrata e felice ma anche per la fluidità che accompagna l’alternarsi dei fraseggi in rilievo nei soli, ed è questa caratteristica a fare la differenza poiché risulta evidente la raffinatezza dei singoli elementi orchestrali perfettamente in sintonia nella pastosità sonora generale. Un climax vivace ed ispirato permette a Carella di passare con disinvoltura dall’ irrequietezza ad una sospensione in cui le cellule di ostinato ai bassi trovano nuova linfa attraverso il cantabile dei violini. Finale Allegrissimo di grande impatto in cui tutto verte ad un carattere epico e grandioso.

L’Opera ed il virtuosismo tornano in modo prorompente nella Fantasia su “La Traviata” di Verdi per violino ed archi Op 50 con solista Lucio Degani. Una cantabilità morbida e priva di artifizi permette all’interprete di presentare le impegnative pagine di Bazzini con eleganza attraverso un virtuosismo naturale senza ostentazioni. L’amalgamarsi tra solista ed orchestra è perfetto tanto da non lasciare negli ascoltatori la nostalgia della scena operistica. I Solisti Veneti fanno ritrovare timbriche grandiose e lirismo emozionante mentre il virtuosismo sapientemente misurato di Degani evidenzia la plasticità dell’orchestra e commuove nel tema dell’ “Addio al passato”. Il Quartetto di Verdi chiude con eleganza la serata ricongiungendo tutto all’idea operistica per colori ed idee, diventando un filo nascosto eppure presente. Gli intenti narrativi e la ricerca di nuove suggestioni si mescolano disinvolti, ogni spunto di ciascun tempo contiene delle cellule che prendono vita e si intrecciano con lo stesso spirito grandioso e completo che anima il teatro. Gli elementi di dinamismo della fuga, complessi ed intrinsecamente legati all’ultimo periodo del compositore, fanno diventare impetuosa l’orchestra ricordandoci il cuore drammaturgico di Verdi ed inserendo una vis coloristica che diventa una scena in evoluzione. Sofisticate timbriche regalano freschezza ed elasticità ad un’opera complessa interpretata con gusto ed espressività. Bis generosi con l’Allegro dell’Inverno di Vivaldi, con al violino solista Degani, per un barocco fantasioso, ed ancora  un Vivaldi prorompente nell’Allegro dal concerto in re minore RV 127 brillante e deciso. Pubblico in delirio.

Vincenza Caserta