Il cammino del Veneto Festival prosegue all’insegna del connubio tra luoghi e musica e lascia il compito ai diversi scenari di iniziare a raccontare una storia creando suggestioni. L’impronta del Palladio è scolpita tra le mura di Villa Pisani Bonetti a Bagnolo di Lonigo. L’immenso giardino che collega alla barchessa permette di fantasticare su quante volte nei tempi passati la musica abbia realizzato la magia di fondersi con i luoghi. E’un programma interessante quello proposto per la sera del 5 giugno dall’Ensemble Vivaldi dei Solisti Veneti formato da Lucio Degani ed Enzo Ligresti ai violini, Mario Paladin alla viola, Giuseppe Barutti al violoncello e Francesco Di Giovannantonio al contrabbasso, con la partecipazione del pianista Alessandro Cesaro. Il percorso proposto muove le fila a partire dal classicismo mozartiano del Concerto in si bemolle maggiore K450 di Mozart, per procedere verso il cuore del Romanticismo con il poco noto Concerto n.4 in mi bemolle maggiore di Field, fino al sorprendente Concerto n. 2 in re minore di Mendelssohn.
Potrebbe apparire poco convincente l’idea di racchiudere un’intera orchestra (compresi i fiati) nella compagine del quintetto d’archi ma invece non manca nulla né per la potenza delle sonorità né per l’atmosfera generale nel suo equilibrio. Già dall’incipit il classicismo di Mozart conferma la sua essenza, tutto è imbevuto in una teatralità che lascia al pianoforte di Cesaro la possibilità di presentare sulla scena tutti i suoi personaggi, immergendoli in una trama di raffinate fattezze.
La voce dei diversi personaggi che si alternano sulla scena diventa animata da un dinamismo di colore che Cesaro dosa con sapiente misura lasciando alla ricerca cristallina del suono il compito di fissare i momenti di più grande pathos. Nella maestosità dell’Allegro iniziale si rispecchia la gioiosità nella sua essenza e l’Ensemble Vivaldi diventa il “Deus ex machina” capace di risolvere la complicata faccenda dei suoni d’orchestra. L’architettura musicale importante è sottolineata con disinvolta bravura dall’Ensemble Vivaldi, lasciando a Cesaro il giusto spunto per poter presentare un suono puro in cui la nitidezza di tocco, unita alla ricerca espressiva di una cantabilità morbida e mai banale, riesce a confermarlo come raffinato interprete mozartiano. Ogni stato d’animo trova la sua giusta dimensione senza eccessi, nell’equilibrio di chi sa creare quel momento di suspence in cui l’ascoltatore può lasciarsi andare all’immaginazione. La scelta di un Mozart fluido diventa accattivante nei momenti di più intensa suggestione come quello dell’Andante, riuscendo a sfiorare l’impalpabile nei pianissimo perlati. Cesaro mostra come la tecnica brillante riesca a non sovrastare mai gli aspetti musicali per eccessi teatrali, svelando invece interessanti dettagli, come nell’Allegro finale in cui la magia creata dall’Ensemble trasforma le atmosfere rarefatte in guizzi di energia.
Una sorpresa interessante è il Concerto in mi bemolle di Field nella versione del 1819, in cui l’Allegro moderato mostra un volto musicale di stampo narrativo e pacato nell’incipit dell’Ensemble Vivaldi per trasformarsi in solenne nell’incursione del pianoforte. La tipologia della scrittura pianistica fa immediatamente pensare al primo Chopin e la vena cantabile nella brillantezza ne conferma ogni parvenza. Anche in questo caso gli aspetti pianistici di un virtuosismo quasi nascosto diventano piacevoli sprazzi luminosi nella prevalente pacatezza stilistica dell’autore. La Sicilienne è una tra le sorprese più piacevoli del concerto, Cesaro e l’Ensemble Vivaldi suggestionano attraverso quella che pare essere una revocazione nostalgica, adagiata su un modo minore che trasforma i pizzicati d’archi in eco. Il filo narrativo è denso di continuità nell’interpretazione di Cesaro, che riesce a creare un clima imbevuto di una speranza dallo stampo tipicamente schubertiano. Il Rondò Allegretto crea un amalgama di suoni nel contrasto tra strumento solista dalla voce decisa e brillante e la distesa sonora creata dagli archi. Interessante il finale con un tema quasi ossessivo che rimbalza tra i vari blocchi sonori con un climax esplosivo.
Il Concerto in re minore n 2 di Mendelssohn è immediatamente coinvolgente nel suo saper creare attesa attraverso un pianoforte che è animato di virtuosismo, mentre l’Ensemble Vivaldi esalta la presenza eroica di ogni elemento orchestrale. Piace il piglio che Cesaro imprime a queste pagine così vicine per intensità emotiva al Trio con pianoforte dello stesso autore. Il sapore per certi versi appare quasi filtrato in una visione quasi schumanniana per i repentini cambiamenti di intenzioni musicali e la felice varietà tematica. Lo spazio lasciato agli archi rende ancora più interessanti momenti di puro virtuosismo rinviati ad un pianoforte brillante che non manca di colorare attraverso intensità sonore i punti culminanti. L’Adagio molto sostenuto privilegia un aspetto più visionario e per certi versi più poetico nel marcato contrasto con il Finale ricco di pathos frizzante ed entusiasmante per la mai sopita energia. Un concerto che ha mostrato sia gli aspetti più eleganti di un pianismo classico sia la timbrica più densa.
I bis che gli applauditi interpreti concedono sono il terzo tempo del Concerto per pianoforte in re maggiore di Haydn, dalle coinvolgenti fattezze brillanti e vivaci, ed un Rachmaninoff dalla commovente bellezza che il solista regala al suo pubblico.
Vincenza Caserta
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