La felice idea delle Domeniche mattutine all’insegna della musica continua ad essere apprezzata dal pubblico padovano ed il 24 novembre l’Auditorium “Pollini” è pronto ad accogliere i numerosi ascoltatori che aspettano con impaziente curiosità il Concerto in cui i Solisti Veneti collaborano con il violinista bulgaro naturalizzato austriaco Mario Hossen. Il programma scelto è vario e l’incipit viene affidato ad un brano appositamente scritto per i Solisti Veneti da Pino Donaggio dal titolo “Rimembranza”. Con voce cupa il contrabbasso introduce un tema di grande intensità su cui i violoncelli riescono ad ottenere un equilibrio che si trasforma in filo narrativo. Anche l’intrecciarsi dei temi successivi realizza un nuovo tipo di scenario rispetto al quale anche le dissonanze più pungenti regalano ancora una volta ampie possibilità all’orchestra diretta dal M° Giuliano Carella. L’ambientazione misteriosa che avvolge con disinvolta scioltezza il dispiegarsi verso la massima intensità sonora rende pienamente le scelte espressive, tutto sembra adagiarsi su un climax che evidenzia il contrasto senza stridere. Il repentino cambiamento di atmosfere diventa attraverso Vivaldi un nuovo punto di vista dal quale l’orchestra compie la sua narrazione musicale. Il “terreno barocco”, ambito decisamente familiare ai Solisti Veneti, viene riportato attraverso un’elaborazione che contiene la pastosità del suono e la completa fusione con Hossen, che si afferma sin da subito come virtuoso ispirato. Il primo movimento del Concerto Op 11 in re maggiore dall’Opera Ottava “Il cimento dell’Armonia e dell’Invenzione” contiene vitalità audace nel fugato che contrasta con l’aperta cantabilità del solista, ben chiara nel solo con il violoncello. Nonostante il piccolo incidente della corda rotta al prezioso violino Guadagnini del 1749 faccia rimanere per un attimo sbigottito il pubblico durante il primo movimento del Concerto di Vivaldi (il pensiero va ai funambolismi paganiniani ed alle tante leggende che li accompagnano) presto il solista sale nuovamente sul palco.
Il sapiente dosare i colori da parte del violinista cattura immediatamente, il suo suono è pieno e rotondo non mancando di incisività neppure nell’unisono con l’approccio vivaldiano dei Solisti Veneti. La cadenza finale del primo movimento è una sintesi ottima del pensiero vivaldiano ottenendo con fluidità ammaliante l’intreccio dei temi presentati. Nel Largo si è già pienamente coinvolti dai paesaggi rarefatti dell’orchestra ed Hossen plasma il suo suono con modalità vocale permettendo al violino solista di farsi vera e propria voce narrante, capace di trascinare l’orchestra in ogni elemento della partitura. Un nuovo fugato distoglie dalle atmosfere meditative rendendo, attraverso un esordio maestoso, la coralità espressa dai Solisti Veneti. Il virtuosismo di agilità del solista, sostanziato da raffinatezza stilistica e di suono, convince ed entusiasma il pubblico. Rossini della Prima Sonata in sol maggiore per archi è colmo di briosità ed ironia pungente, a cui non mancano spunti di carattere tipicamente operistico. L’alternanza tra violini e violoncelli riesce a rendere giustizia ad un continuo avvicendarsi di trame e personaggi. In ciascun tempo è possibile intravedere l’elaborazione narrativa capace di strutturare il filo del discorso, affidando alle varie sezioni strumentali i caratteri dei diversi personaggi. Anche la soffice atmosfera dell’Andantino si colora di una luce nuova e rarefatta per utilizzare poi quell’elemento burlesco come collante per tutto il racconto musicale. Si arriva al cuore del programma con l’Introduzione e Variazioni sul tema “Di tanti palpiti” dal Tancredi di Rossini Op 13, il virtuosismo e la più attenta ricerca di sfumature sia nei cantabili sia dal punto di vista timbrico-espressivo non lasciano dubbi nel definire Hossen come interprete d’eccellenza nel repertorio di Paganini. Non si tratta solo di una visione globale del brano assolutamente equilibrata e votata alla ricerca del “bello in sé”, ma di un modo di intendere il virtuosismo che non permette al fatto puramente tecnico di predominare essendo il filo della cantabilità l’aspetto decisivo. Questa visione di Paganini, perfettamente in linea con la visione musicale dei Solisti Veneti, rende a pieno quella magia capace di entusiasmare il pubblico, sono presenti tutti gli ingredienti, sintetizzando perfettamente tutto quello che la tecnica violinistica può offrire tale da annoverare “i palpiti” come uno tra i brani più difficili della letteratura violinistica. Rossini della Sesta Sonata in mi maggiore “La Tempesta” è un interessante esempio di come la scena possa essere plasmata dalla capacità da parte dei musicisti di carpire lo spirito più nascosto dell’autore. Chi ascolta viene catturato da elementi che sembrano creare curiosità come se tutte le tessere di un puzzle, nascoste e misteriose, rivelassero solo alla fine la vera rappresentazione del contenuto. L’intrinseca classicità che si respira anche attraverso questo squarcio di “Ottocento” presenta un Rossini molto concreto in cui la forza descrittiva viene ancora una volta presa in prestito dall’Opera attraverso elementi semplici che diventano grandiosi nella tempesta finale. Hossen ritorna a Paganini con la celeberrima “Campanella” in cui tutto diventa spumeggiante ed animato da un febbrile dinamismo in cui ogni elemento si trasforma con naturalezza priva di artifici fino a farsi coinvolgere da un’espressività volteggiante. Bis ancora dedicato a Paganini con il Capriccio Op 1 n.24 la minore, tema con Variazioni, il solista presenta un Paganini ora visionario ora ammaliante lasciando spazio ad una ricerca timbrica elegante e fluida in cui ad una rigorosa base tecnica consegue una presenza artistica incisiva e varia in ogni sezione.
Vincenza Caserta

 

 

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