A Ljubljana tutto sembra suggerire il continuo intersecarsi tra immagini e suoni. I piccoli scorci che lasciano intravedere il fiume che la attraversa maestoso sono adornati dall’inchino gentile di rami verdi, la natura diventa elemento narrante assieme alla musica. Il Festival, giunto alla settantatreesima edizione, si presenta come una kermesse, ricco di programmi vari e nomi che sono tra i più rappresentativi del panorama concertistico internazionale. Il 22 luglio debutta il Virtuosensemble formato da Giovanni Anastasio, Glauco Bertagnin, Nicola Fregonese, Chiara Volpato ai violini, Alberto Salomon alla viola, Benedetto Munzone al violoncello, Luca Stevanato al contrabbasso e Valter Favero al clavicembalo, violino solista Enzo Ligresti. I colori scuri e quasi severi della Krizevniska cerkev  (Chiesa di Nostra Signora della Croce) catapultano già nel Barocco diventando ambientazione perfetta per il programma presentato dal Virtuosensemble. Le suggestioni visive create dall’architetto  Domenico Rossi completano il quadro creato dalla musica, i colori caldi dei suoi interni rapiscono con immagini dal sapore Settecentesco, proiettate con disinvolta eloquenza dai quadri che ornano le pareti. Vivaldi è indiscusso protagonista della serata con un incipit decisamente brillante con il Concerto RV 151 “Alla rustica”, un incalzare immediato e vivace presenta già il carattere deciso di cui questo Vivaldi si sostanzia e, se il galoppante esordio è un vero e proprio guizzo d’energia, altrettanto convincente risulta la parte cantabile contrastante. I soli di Glauco Bertagnin sono ricchi di tensione emotiva e pronti a riprendere vivacità dialogante nella coinvolgente sezione finale. Corelli della “Suite per archi” rappresenta un momento altamente introspettivo in cui la collettività sonora assume quasi la dimensione di preghiera in cui i bassi regalano tra colori scuri un alone quasi misterioso. Il contrasto con l’andamento spigliato della Giga conferisce un aspetto ancora più vario a queste interessanti pagine in cui viene sempre sottolineato uno spirito corale in risposta ad una più esile proposta delle frasi musicali. Vivacità espressa al suo massimo vertice è quella che con rapidità si insinua nella Badinerie, esempio di come i pizzicati d’archi possano riuscire a rendere giustizia al fluire stesso della musica. Il Concerto per due violini in la minore RV 522 di Vivaldi proietta ormai nel vivo del programma. Immediato ed incisivo l’incipit del tutti che lascia spazio ai solisti Glauco Bertagnin ed Enzo Ligresti. Il piglio energico dei due interpreti si sostanzia di sonorità piene e rotonde che dialogano con prontezza con l’ensemble. I momenti in cui il carattere del brano assume un tono brillante diventando espressione di una poesia che si manifesterà ancor più chiaramente nel secondo movimento. Il carattere severo (che ricorda il Bach del secondo movimento del concerto in re minore per clavicembalo) trasporta in una dimensione ultraterrena, fatta di una struggente delicatezza, quasi evocasse terre lontane e sperdute di cui resta un ricordo impalpabile. Bertagnin e Ligresti commuovono per la delicatezza espressiva pur mantenendo una profonda tensione latente pronta ad esplodere in modo coinvolgente nell’Allegro finale. Il Vivaldi più estroso è quello che si materializza nel terzo movimento lasciando trapelare in una dimensione poetica un tempestoso climax in cui il dialogo tra primo e secondo a piena voce si incanala in un vortice incessante. La seconda parte del concerto è dedicata alle Stagioni del “prete rosso”. Il solista Enzo Ligresti propone una interpretazione del capolavoro vivaldiano fatta di sfumature poetiche che esaltano il carattere onomatopeico dell’opera stessa. Il quadretto bucolico della Primavera è fatto di sfumature leggere nel suo incipit e con destrezza si trasforma in una visione animata di una natura cangiante e delicata. Ligresti pare osservare la natura vivaldiana catturandone i momenti in cui la limpidezza delle immagini sembra avvolta di malinconia, come nel secondo movimento della Primavera, per poi ricrearne nuovamente gli aspetti più leggiadri. La ricercatezza del Virtuosensemble esalta la dimensione più cristallina delle sonorità non privando i momenti di maggiore intensità narrativa di una presenza sonora sostenuta.  L’originalità con cui Ligresti presenta le Stagioni è caratterizzata non solo da una lettura che ne privilegia gli aspetti più delicati e filtrati attraverso una purezza di suono, ma anche una ricerca di carattere timbrico espressivo. L’Estate, immersa nel suo spleen iniziale, prende vita in un incessante dialogo tra il violino di Ligresti ed il violoncello di Munzone, lasciando spazio alle immagini suscitate nella fantasia degli ascoltatori. Ogni elemento della natura pare animarsi nell’evocazione strumentale del Virtuosensemble ed in alcuni momenti una narrazione di stampo quasi recitativo inserisce l’elemento di attesa in questo racconto. Non siamo mai davanti ad uno scenario uniforme, ma ci ritroviamo in un percorso che pare trasportarci per mano tra questi quadri sonori. Il Presto dell’Estate è un momento topico in cui la descrizione del temporale diventa ricca di enfasi e colore. Il piglio energico e magnetico che Ligresti adotta nella sua interpretazione non ha momenti di cedimento, ed anche nell’Autunno predomina una fantasia interpretativa in cui la caratterizzazione dei dettagli musicali sembra far vivere ogni personaggio presentato sulla scena, come l’ubriaco, il cui barcollare si alterna con la morbidezza cadenzata dei suoi passi.  L’Adagio dell’Autunno è un momento in cui i colori caldi e tenui di una natura pronta ad addormentarsi vengono scanditi dal procedere lento e contemplativo del sonno dei contadini. La danza spigliata e festosa dell’Allegro finale nel suo marziale andamento coinvolge in un movimento circolare. L’inverno, tra le sue pungenti dissonanze, si caratterizza per il virtuosismo del solista, che non trascura mai la dimensione creativa, facendone anzi elemento principale attraverso una profonda analisi di ogni elemento musicale, sostenuto dall’interpretazione coesa dell’ensemble. L’adagio dell’Inverno è filtrato attraverso una dolcezza che richiama quasi la visione domestica di un focolare nella voce del solista, mentre la delicatezza dei pizzicati ai violini nella modalità interpretativa del mandolino evoca la pioggia. L’Allegro finale è un momento in cui la nostalgia abbraccia l’impeto e crea immagini che sembrano quasi il protrarsi di un sogno. Il climax finale trasforma il virtuosismo di Ligresti in una poetica ancora più visionaria in cui il Demiurgo plasma con facilità la materia sonora rendendola viva. Bis acclamati il Presto dal Concerto di Vivaldi RV 127 in cui la brillante vivacità musicale avvolge con colori cangianti il pubblico estasiato. Secondo bis proposto il delicato e suggestivo adagio dell’Inverno.

Vincenza Caserta