Il Veneto Festival prosegue con una tappa importante il 4 luglio presso l’iconico Teatro Olimpico di Vicenza. Il programma sorprende ed incuriosisce per la netta differenziazione con quel Barocco che negli anni è diventato ormai un sigillo per i Solisti Veneti. Se lo scorso anno l’immersione nell’architettura Palladiana era avvolta tra Vivaldi, Bach ed un repertorio considerato una garanzia di successo, quest’anno la sfida presentata dai Solisti di Carella si preannuncia come scelta coraggiosa ed interessante: il Novecento.
Considerare il “secolo breve” come un periodo in cui viene messa in discussione non solo la forma musicale ma soprattutto la sostanza richiede una capacità musicale, narrativa e di immersione umana in un clima decisamente contrastante con il Barocco. Non siamo davanti a descrizioni di una natura che serenamente entra in connessione con l’uomo ma ci troviamo davanti ad una complessità esistenziale che porta con sé l’ombra di momenti in cui la ricostruzione umana diventa vertice assoluto dopo la catastrofe delle atrocità della guerra. Il racconto che i Solisti Veneti si prestano a compiere è complesso, non solo per una difficoltà musicale che, analizzata nel suo aspetto tecnico, mette alla prova le abilità musicali degli interpreti ma soprattutto il calarsi nel contesto con la capacità di descrivere ed emozionare. Se qualche ascoltatore è giunto al concerto scettico per la scelta nettamente diversa rispetto ad una consolidata consuetudine non può non essere rimasto colpito dalla convincente forza emotiva di questo programma. Il cinema e la visione più moderna del concetto di colonna sonora hanno predominato nella prima parte del programma con il Concerto per archi di Rota, in cui viene messa in luce la capacità del compositore di allestire una scena degna del teatro classico. Tra queste pagine sono compresi sia momenti di poetica di abbandono, come nell’Aria Andante quasi adagio, che di improvvisa furia in cui il virtuosismo si fa impavido. La correttezza interpretativa in Rota sta nell’aver saputo trovare il giusto compromesso tra una dimensione ammaliante e disincantata della musica, e la capacità di impatto narrativo che caratterizza la forma della colonna sonora. I brani della compositrice Rachel Portman, appositamente dedicati al flautista Massimo Mercelli ed ai Solisti Veneti, proposti in prima esecuzione in collaborazione con l’Emilia Romagna Festival, segnano un momento particolare del concerto, in cui sono protagonisti aspetti musicali immediati, dotati della forza che è richiesta alla musica per affiancare le immagini cinematografiche svelando qualcosa di personaggi e situazioni come un sicuro narratore onnisciente. “Filmscapes” per solo flauto ed orchestra è un’incursione tra emozionanti aspetti che si rincorrono nella piacevole presentazione di “Emma” in cui il mondo che circonda il personaggio principale prende vita con colori quasi impressionistici. La capacità di Mercelli di esprimere lo stato d’animo della nostalgia è rifinita da un’orchestra dalla prontezza vivace e piena. Anche “Cider House Rules” lascia il giusto spazio ad una dinamica timbrica che viene coinvolta da ritmica a tratti marziale, “Chocolat” è coinvolgente ed incalzante e non privo di momenti in cui la cantabilità dell’orchestra rende ancor più interessanti i diversi aspetti musicali. A sorpresa viene conferita a Mercelli una targa come “Solista Veneto ad honorem” per l’attività di flautista che festeggia quest’anno il mezzo secolo e la consolidata collaborazione con l’orchestra. Il bis concesso da Mercelli assieme ai Solisti Veneti è un omaggio alla Portman con una narrazione mitologica in musica di Ulisse che ritorna ad Itaca con “The return”. Itaca- il ritorno è il più recente film di cui viene proposta la reminiscenza musicale. Anche in questo caso la descrittività della scena vive attraverso la musica nel vorticoso sovrastare del mare che travolge Ulisse, l’eroe coraggioso e solitario, il cui canto è lasciato al flauto di Mercelli in un ricco dialogo con l’orchestra. Anche in questa sezione così originale dedicata alla Portman i Solisti riescono a coniugare la delicatezza sonora ad una presenza orchestrale dai suoni plastici e vivi.
La “Simple Symphony” di Britten è una visione del Novecento in cui le sezioni contrastanti si animano di uno spirito leggero e divertente, incarnando quella visione così sorprendente per la cura dei dettagli così ben sintetizzata. L’equilibrio tra le sezioni orchestrali è perfetto e la direzione di Carella offre una lettura che caratterizza con decisione i contrasti. Il “Playful Pizzicato” è un momento in cui ad osservare il mondo sono gli occhi dei bambini, la semplicità si fa quindi gioiosa e, subito dopo, stupisce ancor più l’intensità profonda della “Sentimental Saraband”, momento carico di un’intensità drammatica che avvolge in antitesi con le caratteristiche descrittive precedenti. La fusione sonora delle parti cantabili dei violini è scandita dal marziale ritmo del contrabbasso ed anche le viole e i violoncelli si lasciano andare a momenti di poesia in cui predominano gli aspetti di una cantabilità dolce. Sonorità piene e dotate di una forza espressiva che rende ancora più avvincente questa incursione Novecentesca sono presenti nei contrasti tra i vari aspetti musicali di tutti gli intenti del nuovo avvicinarsi alla musica da parte dei compositori, capaci di trasformare tutte le contraddizioni di questo secolo così ricco di avvenimenti che hanno scosso l’umanità in ritratti, frammenti di storia. Anche il misterioso “Frolicsome Finale” diventa come un vaso di Pandora, pieno di immagini ora epiche ora spettrali.
Šostakovič rappresenta un momento chiave del concerto per il significato assunto dalla “Chamber Simphony” in do minore Op 110 dedicata “alle vittime del fascismo e della guerra”. Il M° Carella legge le parole del compositore sugli orrori della guerra e sul significato che avvenimenti di questo tipo hanno avuto nell’animo dell’autore. La desolazione profonda che i Solisti Veneti riescono a descrivere attraverso la musica diventa l’urlo di dolore contro le atrocità davanti a quello che si presenta come un paesaggio avvolto nella tristezza e nel presentarsi di luoghi. Pare quasi che tutto sia filtrato attraverso la lente di un osservatore che stenta a riconoscere i luoghi noti, ed il frammento solitario cantato dal violoncello di Barutti ricorda le stesse sensazioni del poeta Ungaretti nella poesia “San Martino del Carso”, in cui con il cuore straziato cerca tra le macerie i volti cari. In un iniziale clima deserto e desolato sembra poi prendere vita lo scenario più furioso di una guerra senza tregua tra bombardamenti e passi dei nazisti, dei quali si sente il deciso bussare alla porta. Prevalgono i vortici sonori in cui le dissonanze alimentano la sensazione di umana difficoltà assieme ai cromatismi, simboli angoscianti di un destino inesorabile. Colpisce la capacità descrittiva che i Solisti riescono ad ottenere in queste pagine, rendendo giustizia a musiche meno presenti nei programmi di sala e dimostrando di saper comunicare con straordinaria padronanza interpretativa il difficile Novecento. Il bis è un’incursione nel classicismo con il Divertimento in fa maggiore di Mozart ma il pubblico è ormai convinto che l’etichetta di vicinanza esclusiva al Barocco sia molto riduttiva per un Novecento dal così commovente impatto umano.
Vincenza Caserta
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