Serata dedicata a Brahms per la Stagione del Conservatorio Steffani di Castelfranco Veneto in memoria del violinista docente dell’istituto Michele Lot, scomparso lo scorso agosto.
Il Teatro Accademico di Castelfranco è immerso nel Brahms più intimistico e suggestivo con “I Maestri dello Steffani” che interpretano i Sestetti per archi Op 18 ed Op 36, al violino Enzo Ligresti ed Andrea Vio, alla viola Mario Paladin e Luca Volpato ed al violoncello Damiano Scarpa e Walter Vestidello. L’impegnativo programma è preceduto da una panoramica in cui i Maestri si soffermano su aspetti che mettono in luce la bellezza del poter suonare assieme ricordando un collega e caro amico attraverso la poesia di pagine tra le più belle del compositore di Amburgo.
E’un Brahms che conserva nella raffinatezza di scrittura un’eco d’orchestra messo già in luce nell’Allegro non troppo. Attraverso il rapido succedersi dei temi i vari registri strumentali si intersecano, creando immediatamente un clima magico in cui i musicisti instaurano un dialogo ben dosato. La commovente bellezza del tema che Andrea Vio canta con eleganza è un elemento che permette a tutti i musicisti di ripercorrere come in un sogno il suo ripresentarsi, variato ed animato con linfa vitale sempre nuova. La poetica strumentale aggraziata guida l’ingresso nell’universo brahmsiano con una delicatezza lontana dall’impeto dell’ultimo Brahms ed adagiata su un procedere gentile, fatto di sfumature che concludono il primo movimento con dei pizzicati che incuriosiscono rispetto al seguente movimento. Il Tema con Variazioni diventa un momento in cui si unisce la fierezza dalle reminiscenze barocche ad un nuovo stato d’animo. E’efficace la nuova dimensione sonora del Sestetto che privilegia una pienezza orchestrale rispetto alle sfumature poetiche del primo movimento, conservando anche nell’incedere più passionale grande raffinatezza di suono ed incisività di resa. Ogni Variazione diventa un piccolo percorso musicale in cui la grandiosità del tema trova slancio sempre nuovo, lasciando spazio ai virtuosismi dei violoncelli nella rappresentazione del vortice sonoro accompagnato dal tema ora lasciato ai violini, ora alle viole. L’ambientazione musicale riesce a trovare un aggancio nuovo che alterna la pienezza sonora ad un sussurrare quasi elegiaco di tutti gli elementi. Il Sestetto coinvolge e si lascia coinvolgere da Brahms, ottenendo una fluidità di suono che riesce a dare spezio anche ai momenti spettrali in modo minore su cui aleggia l’ombra di Beethoven, ed è notevole il raccolto momento dialogante tra le parti nell’ultima Variazione. Lo Scherzo trasforma il severo raccoglimento del secondo movimento in una dimensione nuova in cui l’elemento privilegiato è quello riservato ad una brillantezza che trova la sua formula vincente nel carattere quasi popolaresco di una danza. L’animarsi della parte centrale lascia spazio a sapienti giochi di colore in cui l’effetto trovato è di grande coesione interpretativa. Anche in questo caso le suggestioni maggiori vengono create attraverso una concezione musicale estremamente raffinata. Il Rondò diventa un quadro totalmente inaspettato per la leggiadria privilegiata nel presentare i temi colorandoli con un soffio di malinconia ed ottenendo un effetto di attesa dal carattere quasi narrativo. E’un Brahms che sfrutta gli effetti virtuosistici a favore della ricerca della cantabilità più piena con aggraziata abilità nel gestire l’elemento coloristico sia nei “pianissimo” che nel corale finale in cui invece viene creata la grandiosità dell’orchestra.
Il Sestetto Op 36 nel suo misterioso incipit lascia già intravedere un’alba composta da una morbidezza di colori in cui il tema del primo violino (questa volta Enzo Ligresti) inizia ad espandersi con grazia al violoncello. Il respiro più ampio del secondo tema anima tutto il movimento con un nuovo carattere ed è così che alle atmosfere più oniriche, scandite dal fluire delle viole, segue un procedere appassionato. Brahms riesce a far sognare un’orchestra completa servendosi di sei strumenti che nel loro intrecciarsi suggeriscono ambientazioni sempre nuove. La malinconia che pare prendere il sopravvento lascia spazio al tema, enfatizzato da Damiano Scarpa con maestria, così nel cullante riproporsi di alcuni incisi, luci ed ombre si alternano quasi a voler rappresentare l’inquietudine del compositore. Il trasformarsi del tema diventa commovente nel registro delle viole, sempre espressive e puntualissime nell’interpretazione di Mario Paladin e Luca Volpato, ed acquisisce una dimensione maestosa nel gioco contrappuntistico che precede il finale. Come in un viaggio denso di accadimenti il ripercorrere la strada iniziale pone in una prospettiva nuova e sempre diversa. Lo Scherzo propone nuove idee musicali ricche di un mistero suadente in cui gli arabeschi che si presentano tra gli strumenti cercano quasi di risolversi nelle linee decise dei violoncelli. Il moto aggraziato con cui i musicisti tengono vivo il carattere misterioso è un elemento di grande effetto. Sorprende la vigorosa presenza, in netto contrasto con il precedente andamento lezioso, con cui irrompe deciso il moto animato e danzante che trasforma delicati sussurri in sfrenati balli dal carattere quasi tzigano. La varietà d’effetti consente agli interpreti di ottenere attraverso decisi crescendo un interessante scala di colori ed emozioni. La carta vincente di questa interpretazione risiede nella ricchezza di fantasia con cui i musicisti animano le pagine brahmsiane, donando una vera e propria linfa vitale che bandisce la monotonia a favore del più ampio utilizzo del colore. La poesia che culla con dolcezza il Poco Adagio è quasi lo specchio della mancata felicità da parte di Brahms, l’effetto di uno spleen che aleggia per tutto il movimento sfruttando il cromatismo come misura per le confessioni più intime del compositore. E’il momento più denso dal punto di vista emotivo in cui i Maestri si confermano interpreti d’eccellenza facendo intravedere i tratti più moderni di una scrittura che anticipa decisamente il Novecento. Non ci troviamo immersi nel clima completamente affidato alla nostalgia, in cui il compositore affidava ad alcuni tra i suoi ultimi brani scritti per pianoforte le ninnananne alle proprie sofferenze, ma siamo davanti ad una scrittura di cui viene sottolineata la brillantezza nei suoi infiniti contrasti. Con l’ultimo movimento si afferma un dinamismo vitale che riesce a sopraffare i toni malinconici, rendendoli visionari, avvolgenti in ogni fraseggio, spumeggianti nella grandiosità del Finale.
Bis che omaggia ancora Brahms con lo Scherzo dal Sestetto Op 18. Pubblico entusiasta.
Vincenza Caserta
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