Piazza Eremitani, con il consueto appuntamento con Castello Festival ed i Solisti Veneti, presenta il 18 luglio una prima assoluta attraverso uno spettacolo che unisce il colore del suono con la visione storica di Paolo Mieli. Il protagonista è un autore tipicamente Barocco, la cui figura ha assunto rilievo per la produzione cameristica, Georg Philipp Telemann, con un’Opera fresca nella sua originalità: Klingende Geographie TWV 55. Tutto in questa serata sembra avere un carattere profetico se visto con gli occhi dell’uomo immerso nell’Illuminismo, eppure lo spirito che la pervade è ancor più dominato da qualcosa di visionario, senza riserve oggi potremmo conferire a queste informazioni un aspetto quasi programmatico al pari di miniature altrettanto efficaci quali i Quadri di Mussorgsky o le Stagioni di Tchaikosky e Vivaldi. Ci troviamo in questo caso davanti ad un’Opera davvero enigmatica, che sotto una scorza apparentemente semplice nasconde una visione del globo animata non solo dalla tipicità e dal temperamento musicale (che abilmente si rispecchia nei brani), ma rivoluzionaria: è l’ottica con la quale Telemann guarda il mondo. I Solisti Veneti diretti dal Maestro Carella regalano il colore dell’umanità alle diverse scene che si possono immaginare avvolte tra le danze presentate, e sin dall’incipit, esaltazione di una solennità contenuta, siamo davanti ad una concezione corale che si manifesta attraverso incastri tra le parti evidenziando come tratto principale una visione ottimistica e brillante. L’Europa viene dipinta attraverso i suoni con un procedere che in certi momenti assume le fattezze di un carillon, quasi si volesse sottolineare un aspetto più contemplativo che misurato. I diversi accenni al fugato sono una trasposizione della visione dell’epoca di Telemann, siamo davanti all’uomo di scienza che osserva la realtà cercandone un senso in modo misurato, razionale, senza abbandonarsi totalmente ad un’ancora sconosciuta dimensione Romantica in cui sono presenti le passioni sia di stampo patriottico dettato da un cogliere istintivamente l’attimo fuggente. Piace il colore leggero eppure deciso che i Solisti Veneti racchiudono nelle sonorità di un moto perpetuo, andamento che diventa quasi un girotondo strumentale, spigliato e già proiettato verso una matrice unica che caratterizza ogni Paese con una tipica danza. Ed in questo divertente procedere lo spettatore si trova immerso come il viaggiatore che, catapultato in un tempo lontano, ha la possibilità di cogliere alcuni aspetti dell’oggi osservando il passato. Mieli è in veste di storico a percorrere con il filo della musica un itinerario parlato. Verrebbe spontaneo chiedersi come nell’anno 1681, in cui ancora la Germania non era un Paese, fosse così intenso il sentire comune, il senso di identificazione artistica e musicale. Il Seicento viene analizzato da Mieli come parallelo al Novecento, scosso da guerre cruente, in un secolo quella dei Trent’anni, nell’altro le guerre Mondiali. Mieli coglie lo stato d’animo di Telemann che è quello tipico dell’uomo del dopoguerra esprimendo in musica un concetto nuovo: l’identità di un popolo.  Telemann è figlio del suo tempo, è un Illuminista che rende vita e giustizia al silenzioso e scosso animo dei Paesi. Ma il messaggio più bello della serata è quello collegato alla speranza che anima la capacità dell’uomo di ricostruire dalle macerie delle guerre non solo le proprie radici ma una sorta di spirito di sopravvivenza dalla natura quasi catartica. Mieli solleva un dubbio che prende le mosse dal dettaglio stilistico di stampo musicale: l’esitazione con cui Telemann chiude ciascuno dei brani ed il dubbio. Ripercorriamo in musica lo stesso tipo di pensiero filosofico in cui la ragione viene confrontata con qualcosa di nuovo e si fa strada l’idea del progresso, l’esitazione musicale è l’enigma che sconvolge il filosofo e trova le sue risposte nell’epoca illuministica con la forza del pensiero.  Il viaggio musicale dei Solisti Veneti passa attraverso l’Europa, contraddistinta per la sua grande massa sonora, e Paesi come il Portogallo vengono attraversati passando per la lentezza di stampo descrittivo capace di trasformarsi in andamenti vivaci senza dimenticare la visione nostalgica associata in modo indissolubile alla Sarabanda, descrizione di stampo più intimistico. La Svizzera contiene nuovamente una brillantezza efficace mentre Badinerie ispira un senso di circolarità e condivisione. Le caratteristiche dei Paesi vengono presentate in modo sottile e delicato, la Francia è osservata attraverso il Minuetto, così come l’attraversare distese marine comporta il misurarsi dell’uomo con la potenza vorticosa della natura. Una particolarità che Mieli sottolinea è quella che colloca Telemann in una visione moderna, l’Africa e l’America diventano paesaggi sperduti, avvolti in un alone di fantasia e mistero. Neppure Telemann poteva immaginare quante rivoluzioni avrebbero sconvolto in due secoli il mondo, secondo Mieli frutto di quel ciclo di rivoluzione che l’uomo stesso non conosce. Eccoci attraversare il nostro presente storico a noi più vicino, la pandemia, paragonata alla peste manzoniana, ed accomunata alla dimensione umana di smarrimento davanti alle catastrofi. Eppure lo spirito istintivo dell’uomo sia Illuminista che di oggi è sempre animato dalla capacità di far convivere le diversità in modo che ciascuna identità nazionale si faccia baluardo di una memoria storica colmando differenza abissali. La musica di Telemann vuole essere una visione di tale tipo di ricerca dell’uomo, indagatore di luoghi ed ancor più della propria coscienza come essere umano mosso dal cogito ergo sum.

Vincenza Caserta